Sindrome di Peter Pan e Wanderlust

Quando da un momento all’altro ti ritrovi a pensare  che sono passati già due mesi da quando hai lasciato a casa la tua vecchia vita e che tra meno di 5 mesi sarai legalmente perseguibile vorresti fermare il tempo e non dover pensare a ciò che ti aspetta nella vita.

Le lacrime che versi guardando gli stessi cartoni che vedevi a 8 anni ti illudono di poter ancora sentirti piccola e indifesa, di aver bisogno dei tuoi genitori o di qualcuno che ti consoli durante la fatidica scena. Pensi sia meglio non affrontare il mondo e fare delle scelte con il dubbio che esse siano sbagliate, pensi sia meglio non inseguire i tuoi sogni o soddisfare le tue curiosità.

E quindi ti ritrovi a soddisfare i voleri altrui, affidandoti ad essi, con la paura di rischiare di fallire, deviando anche di poco la strada per te decisa. Il tuo destino e le aspettative su di te crescevano di pari passo con il tuo corpo e la tua mente, mentre la tua creatività e sicurezza iniziavano a sparire. Sparivano perché erano considerate poco intellettuali o produttive, erano considerate troppo semplici per una bambina così dotata (o il contrario).

Ma c’è l’altro lato della medaglia che è alimentato da una curiosità innata nell’animo umano, una curiosità che non si può riassumere col porsi delle domande e cercare la risposta su internet o nei libri. Non si può semplicemente perché non si sa nemmeno cosa si cerca.

Questa curiosità è strettamente legata al desiderio di viaggiare, di non appartenere ad un luogo preciso e non avere uno schema, delle aspettative prefissate.

La spiegazione dell’adrenalina che si prova nel perdersi in una città lontana chilometri da quel piccolo paese del quale conosci a memoria vicoli e scale, non la trovi in nessun libro, ne tanto meno su wikipedia.

Certo, puoi trovare una spiegazione scientifica inerente a questo argomento, puoi trovare blog e racconti di esperienze reali ma l’uomo non è solo ragione e non è uguale ad un suo simile (caratterialmente parlando). Quindi perché attenersi a recensioni, racconti di vita e avvenimenti altrui e invece di crearne dei propri?

La risposta è semplice, paura del rischio o semplicemente necessità di sicurezza anche nelle piccole cose. Come per esempio il ristorante da scegliere per l’appuntamento che aspettavi da una vita, scelta che può essere la carta vincente della serata o al contrario, la sua rovina.

La tecnologia odierna ci facilita di molto le scelte di tutti i giorni, usando al minimo la nostra testa, il termine “rischio” è stato quasi eliminato dalla vita di tutti i giorni e finire per essere associato soltanto ad esperienze estreme di pericolo improbabili.

Prima settimana in Canada

Dopo un viaggio di 15 ore mi ritrovo oltreoceano a parlare una lingua straniera e a vivere in una famiglia che mi accoglierà nella sua vita per ben nove mesi. All’arrivo sembra tutto surreale, un taxi ci introduce a quella che sarà la nostra nuova città, la nostra nuova vita. Fortunatamente il viaggio non è lungo, sono la prima a scendere e ad essere accompagnata dall’autista dritta tra le braccia della mia nuova mamma, si inizia con la giusta dose di calore affettivo!

Non faccio in tempo a sdraiarmi nel letto e pensare a quanto sia fortunata ad essere lì, che cado in un sonno profondo per poi svegliarmi la mattina dopo con una colazione salata e sostanziosa a base di uova e avocado. Nel pomeriggio abbiamo approfittato del bel tempo per una passeggiata lungo oceano accompagnata dal mio primo sushi a Vancouver (restando piacevolmente sorpresa) per poi concludere la giornata con un film senza dimenticare i pop-corn.

Dopo un altro giorno di vacanza si rientra a scuola, ma solo per un barbecue nel cortile e una piccola introduzione alle attività fornite. Il giorno dopo finalmente riesco a conoscere le classi e i professori iniziando ad ambientarmi nel nuovo mondo scolastico molto più attivo di quello italiano. Minima la difficoltà nel trovare le varie classi e capire in che modo erano disposte e altrettanto minima la fatica a seguire le lezioni.